MONASTIR. Ai bordi della Carlo Felice le bancarelle di arance e mandarini erano una costante, soprattutto nel pezzo di strada che collega San Sperate a Monastir. Quasi lo specchio del grande giardino del Campidano. Scenari ormai ingialliti dalla fotografia di una crisi infinita che ha afflitto le campagne attorno al paese. Un paese che stenta a riprendersi il ruolo da primattore che, nei primi anni Novanta, aveva portato Monastir a diventare la "capitale" isolana degli agrumi: persino Muravera doveva accontentarsi di inseguire il gigante della frutticoltura. E da Milis e Zerfaliu si arrivava per copiare i segreti della coltivazione degli agrumeti. Poi la crisi, con un crollo senza freni e la desertificazione del sistema rurale. Tra i "reduci" c'è Antonio Pinna, uno dei pilastri delle campagne della piana monastirese: ‹‹Davvero tempi indimenticabili. - sottolinea con la moglie Antonina Coccodi, responsabile dell'azienda - Sino a pochi decenni fa Monastir era il top nella produzione degli agrumi. I trattori al centro del paese trasportavano quantità oceaniche di arance e mandarini. In tanti vivevano dall'agricoltura. E con guadagni consistenti dalla vendita del prodotto. Oggi è tutta un altra storia››. Segni dei tempi che cambiano. ‹‹E, soprattutto, della globalizzazione che ha spazzato via il mercato - aggiunge Antonio Cinus, manager della società agrumicola Immacolata Mameli - Siamo invasi dalla merce di Sicilia, Campania, Spagna e Marocco. Un'assurdità. E continuano ad affossarci con l'incremento dei costi per la coltivazione della frutta e la cancellazione di un sostegno finanziario››. Inevitabile l'abbandono delle campagne: ‹‹Vero - conferma Pinna - Siamo arrivati ormai ai livelli dello stato di sopportazione. Si pensi che in paese sono rimasti solo sei agricoltori, con enormi pezzi di campagna ormai lasciati al loro destino››. Cifre di un tracollo ormai fuori controllo: ‹‹Da 800 ettari di agrumeti - conferma Modesto Fenu, esperto del settore - si è passati a malapena ad appena cento: una rovina per l'economia sociale››. Le ragioni? ‹‹È mancata una strategia di sviluppo della filiera - analizza il perito - Ad esempio, non si è riusciti a formare un unico Centro di raccolta in paese o una cooperativa di agricoltori. Ci sarebbe poi stata da sfruttare la produzione nella grande area vasta del Campidano puntando sulla prateria di giardini nelle nostre campagne. Occorrerebbe scommettere su un percorso per la valorizzazione del prodotto coniugandolo con la valenza sostenibile dell'ambiente con rassegne come Giardini Aperti o Fiere agroalimentari che mettano in risalto le peculiarità locali››. Un miracolo che pare lontano: ‹‹Ora siamo costretti a conferire arance e mandarini alla coop di Villasor - concludono Pinna e Cinus - con migliaia di quintali di prodotto che rischiano di non essere vendute, ma in futuro si spera in un riscatto».
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