In dodici, fanno 678 anni. Per una media anagrafica di circa 56 anni e mezzo, mese più, mese meno. Di cosa parliamo? No, nessuna nuova scoperta preistorica... Anzi, il vecchio che ritorna.
E' la "nuovissima squadra" di Cappellacci partorita dopo settimane di lungo travaglio. Ah, come dimenticarlo? Tutti maschietti, ovviamente.
Apre la squadra l’Assessore agli Affari generali, personale e riforma della regione, Mario Floris, udite udite, classe 1937 (senza ritegno - o palesemente una presa per i fondelli - anche la foto in bianco e nero del suo profilo nel sito della Regione…); seguono a pari merito del 1940 alla Difesa dell'ambiente, Giorgio Oppi e agli Enti locali, finanze e urbanistica, Nicola Rassu (di cui vi consiglio il sito internet, ne vale la pena).
Del 1951, al Lavoro, formazione professionale, cooperazione e sicurezza sociale, Francesco Manca. Classe 1955, ex equo, alla Sanità e dell'assistenza sociale, Antonello Liori e ai Lavori pubblici, Sebastiano Sannitu.
Giorgio La Spisa, Programmazione e bilancio è del 1957; ai Trasporti, Angelo Carta, e al Turismo, artigianato e commercio, Luigi Crisponi, entrambi del 1959.
Sono degli anno ’60, Sergio Milia, nominato alla Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport; poi, all’Agricoltura e riforma agro-pastorale, "giustamente" riconferato per l'eccellente lavoro svolto, Andrea Prato, del 1964 e, infine, all’Industria: Oscar Cherchi, classe 1965.
Mah... che razza di lezione di modernità e prospettiva di futuro questa giunta ci voglia dare, proprio è difficile da capire.
La composizione della Giunta regionale sarda senza neppure una donna, poi, è l’ennesimo insulto e offesa alla nostra democrazia, al duro lavoro per l’affermazione delle pari opportunità, ai cittadini tutti, maschi o femmine che siano.
Come si può pensare ai giorni nostri, di tenere fuori dall’esecutivo della Regione tutte le competenze femminili, i cervelli, gli alti profili delle donne sarde?
Abbiamo avuto solo l’ennesima riprova, di come il ruolo delle donne venga inteso da questa maggioranza: al massimo, solo le figlie dai cognomi blasonati possono aspirare a certi ruoli, comunque di secondaria importanza. Le altre, a casa o al massimo a fare le belle statuine al fianco dei potenti signorotti del teatrino politico sardo.
E assordante è il silenzio della stampa a livello nazionale, parametro di come questo tipo di avvenimenti non interessano a molti e, anzi, è meglio tacere, nascondere.
Di un nuovo femminismo abbiamo bisogno. Dice bene Amalia Schirru quando rivendica “alle donne, schieramenti politici a parte, uno scatto d’orgoglio”.
I partiti democratici, il nostro per primo, devono guidare questa battaglia. La politica deve assumersi la responsabilità di combattere questa misoginia diffusa e palese, non più latente e silenziosa. Non bastano i comunicati: servono fatti concreti che supportino posizioni nette e comuni.
Abbiamo già messo in campo importanti strumenti di democrazia. Appoggiamoli, facciamoli conoscere, promuoviamoli tra la gente.
Cito solo in Parlamento, l’importante disegno di legge del PD, “Misure urgenti a sostegno della partecipazione delle donne alla vita economica e sociale nonché deleghe al Governo in materia di tutela della maternità delle lavoratrici autonome e di rispetto della parità di genere” e in Consiglio Regionale le cinque proposte di legge per la parità di genere in campo istituzionale ed elettorale, elaborate dai consiglieri regionali Marco Meloni e Francesca Barracciu e presentate anche dal Capogruppo Mario Bruno e dal vice capogruppo Giampaolo Diana.
E poi si, anche noi cogliamo l’invito di Francesca Barracciu al ricorso necessario alla magistratura, per il rispetto delle regole democratiche. Di fronte a questi attacchi, un atto dovuto e doveroso.
Stef
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