Pubblichiamo di seguito l'intervento che l'assessore Grudina ha fatto al Convegno del 16 dicembre “Crisi economica -Finanziaria Nazionale e Regionale - Patto di stabilità”.
Alberta Grudina (Assessore al Bilancio, Programmazione e Associazionismo del Comune Decimomannu)Intervento
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Non sono molte per noi amministratori le occasioni per poter parlare della situazione
finanziaria in cui ci troviamo a dover operare. I cittadini non sempre riescono a capire
i disagi sopportati, le difficoltà se non quando si ritrovano a non poter beneficiare di
un bene o di un servizio che altrimenti in passato gli veniva fornito. Allora gli
amministratori degli enti locali si ritrovano come in trincea a parare i colpi più duri.
Le ragioni? Sono esclusivamente dettate da un tecnicismo ragionieristico imposto
dallo Stato e, prima ancora, dalla Comunità europea che porta la comprensione delle
ragioni, un esercizio davvero difficile.
I Comuni si trovano, infatti, a dover deliberare entro il 31 dicembre il bilancio di
previsione salvo poter derogare a marzo. In questo caso però si costringe
l’amministrazione comunale a dover spendere mensilmente un dodicesimo rispetto le
normali capacità di spesa almeno fino all’approvazione del Bilancio stesso.
Si dovrebbe programmare per tempo e in serenità il Bilancio ma diventa difficile
farlo quando manca un quadro di riferimento certo, ritrovandoci invece sempre in
attesa dell’immancabile colpo di scena contenuto nella nuova manovra finanziaria
governativa.
L’atteggiamento del governo risulta disarmante e penalizzante su due fronti: frequenti
sono i tagli alle risorse e i tagli ai poteri che costringono a una drastica riduzione
dell’autonomia decisionale dell’ente locale.
Qualche esempio? Abbiamo subito negli ultimi anni il taglio delle entrate riguardanti
l’Ici mentre prosegue il blocco dell’autonomia impositiva stabilita con il Dl 112 del
2008 confermata, sino all’attuazione del federalismo fiscale, dalla Legge di stabilità
2011 (prima definita legge Finanziaria).
Ci si trova quindi oggi impediti ad aumentare i tributi che non siano la Tarsu e
assistiamo ad una progressiva riduzione delle entrate che si traduce poi in una
conseguente incertezza sui trasferimenti erariali sia nazionali che regionali cui si
aggiungono i consistenti tagli a tutta una serie di voci di bilancio a carattere sociale.
Di contro, la crisi economica che attanaglia le fasce sociali e produttive più fragili
favorisce la crescente richiesta di servizi e di sostegno.
E in periodo, come quello che stiamo vivendo, dove la forbice tra le richieste e la
possibilità di risposta tende sempre più ad allargarsi le conseguenze per i nostri
bilanci sono sempre più drammatiche.
In questa situazione però i Comuni (con più di 5.000 abitanti) si sono visti già fissate
le riduzioni dei trasferimenti erariali. Il dato nazionale parla di 1,5 miliardi nel 2011 e
2,5 miliardi nel 2012. Per Decimomannu si traduce in un taglio delle risorse pari a
165.148,04 Euro nel 2011 e 275.246,74 per il 2012.
Certo, dobbiamo continuare ad applicare le norme contenute nel D.L. 78 del 2010
contenenti precise limitazioni alle spese dei Comuni con un dettaglio tale da rendere
vano qualsiasi richiamo al cosiddetto “federalismo” perché limitano, di fatto,
l’autonomia decisionale degli amministratori locali.
Si tratta di una impressionante sforbiciata a tutta una serie di specifiche spese già
individuate dall’alto dal Governo. Certi capitoli di bilancio ritenuti fino a poco tempo
fa imprescindibili come quelli destinati al Sociale, alla Cultura, oggi si ritrovano a
dover sopportare tagli draconiani. Sono anche assessore all’Associazionismo e mi
rendo conto di come queste nuove disposizioni penalizzino il volontariato su cui
poggia la stessa società civile. Si tratta di un decreto molto criticato che viola
l’autonomia finanziaria di bilancio e di spesa garantite dagli articoli 119 e 117 della
Costituzione come pure certificato da sentenza della Corte Costituzionale
recentemente espressasi su un ricorso presentato congiuntamente negli anni passati da
alcune Regioni.
Se non si riuscirà però a farne dichiarare l’incostituzionalità, questa norma dovrà
continuare ad essere applicata.
A rendere poi più difficile l’autonomia degli enti locali si aggiunge l’obbligo del
rispetto del patto di stabilità. Nel caso venisse infatti violato, imporrebbe agli enti
locali penalità davvero difficili da sopportare come ulteriori limiti agli impegni di
spesa corrente, il blocco dell’indebitamento e delle assunzioni a cui si aggiunge,
confermata dalla legge di Stabilità 2011, un’ulteriore gravosa sanzione: il taglio dei
trasferimenti per una somma pari all’entità dello sforamento stesso.
Il patto di stabilità, in particolar modo negli ultimi 5 anni, altro non si è rivelato se
non il contributo dato dai Comuni per il miglioramento dei saldi di finanza pubblica
con modalità spesso avulse dal locale contesto economico in cui noi amministratori di
enti locali operiamo. E tutto questo mentre la spesa e quindi il debito pubblico
procurato dal Governo centrale continua ad aumentare esponenzialmente.
I criteri di determinazione del Patto di stabilità cambiano ogni anno e i Comuni
vengono praticamente informati il 31 Dicembre dell’anno.
Come possiamo noi allora programmare localmente il futuro? E come si può
realizzare una seria programmazione di bilancio?
Con grandi sacrifici la nostra amministrazione ha sempre rispettato i criteri del patto
di stabilità perché comunque siamo parte dello Stato. Ci troviamo però
nell’impossibilità di poter agire e, più delle volte, anche nel paradosso di possedere le
risorse, cioè di avere i soldi in cassa e non poterli spendere per ragioni di pura
alchimia contabile. Facciamo un esempio: il Comune di Decimomannu pur
disponendo delle risorse finanziarie per la realizzazione di un Centro polivalente si è
trovata nelle condizioni di dover fare slittare l’investimento.
Potevamo spendere queste risorse nei mesi scorsi, poco più di un milione di euro, ma
non lo abbiamo potuto fare. Non abbiamo potuto bandire la gara d’appalto perché
altrimenti avremmo sforato i tetti di spesa. Assurdità? No! E’ la realtà in cui ci si
trova oggi e diventa davvero difficile spiegare ai cittadini quando si rivolgono a noi,
come non si riesca più a utilizzare risorse un tempo consuete, automatiche e sicure.
I Comuni sono oggi chiamati ad applicare decisioni prese dall’alto, senza mai essere
stati coinvolti. E’ del tutto evidente, infatti, come oltre a non ascoltare gli Enti locali,
si insista anzi con una politica sconsiderata di tagli agli investimenti che provocano
ripercussioni durissime sull’occupazione, sul sistema delle imprese e in generale su
tutta l’economia.
Ci ritroviamo a fare scelte impopolari, alle volte, e più spesso dolorose. Siamo in una
fase di incertezze. Si procede verso quello che comunemente viene definito e indicato
come federalismo: come se fosse la panacea di tutti i mali della nostra Nazione.
Un federalismo ancora indefinito di cui ancora oggi non sono in grado di precisarne i
contenuti economici, né i rischi che noi regioni del Sud dobbiamo sopportare per
conservare i livelli di benessere delle regioni del Nord. Si sa solo con certezza che la
procedura dovrà essere a costo zero per il bilancio dello Stato per cui le nuove risorse
previste a tal fine a partire dal 2011 saranno compensate da pari minori trasferimenti
per i Comuni.
Già l’art.1 del DDl di stabilità 2011 prevede a partire dallo 01.01.2011 il passaggio
dall’0,8 per mille all’1 per mille sulla quota ICI, il contributo da parte dei Comuni
destinata a finanziare l’attivazione del federalismo fiscale.
Nella prospettiva e negli accenni che ci sono finora giunti sulle nuove regole del
federalismo c’è anche un inasprirsi delle penali previste nei confronti degli
amministratori “meno avveduti”, più spendaccioni che potrebbero, in caso di mancata
quadratura dei conti, vedersi impossibilitati a venir ricandidati e persino interdetti dai
pubblici uffici.
Si dirà che abbiamo tante leggi che poi, di fatto, non vengono applicate.
Si è fatto molto spesso delle regole sinonimo di ipocrisia. Senza impennate di dignità,
di legalità, di decenza, addirittura. Abbiamo avuto esempi di Comuni come Catania o
Roma con voragini finanziarie, frutto di discutili spese, ma poi salvati dal Governo
centrale.
Forse in queste dinamiche è mancata una voce forte dell’opposizione?
Manca la voce della protesta che alimenta invece un silenzio che fa il gioco dei poteri
forti del Paese. Manca una posizione di contraltare a questo modo di governare a cui
assistiamo oggi e indispensabile per fare rientrare il Paese nel novero delle
democrazie liberali europee?
In questa situazione e con le incertezze di stabilità del Governo più volte ripetute, la
paura è che, successivamente a nuove elezioni, chi si troverà a governare potrebbe
ritrovarsi nelle condizioni in cui si era ritrovato l’ex premier Romano Prodi
successivamente alla vittoria contro Berlusconi. Con i bilanci a piangere e lui, da fine
economista, a stilare tabelle di rientro e di sviluppo economico. Quella che poi
sinteticamente veniva da tutti definita manovra finanziaria da “lacrime e sangue” che
non tutti poi comprendono e apprezzano perché a fare sacrifici nessuno trova e
possiede inclinazione.
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