venerdì 6 luglio 2012

Il sindaco: «Non siamo razzisti»


Da L'Unione Sarda del 6.7.12
SAN SPERATE. Contestato il silenzio del Comune di Cagliari sul trasferimento dei nomadi
Spalti affollati al Consiglio comunale straordinario sui rom
dal nostro inviato
Andrea Piras
SAN SPERATE «Razzisti? Non scherziamo». È la sintesi, categorica, del sindaco Enrico Collu e della maggioranza. È l'imperativo di un Consiglio comunale che vuole riabilitare San Sperate dopo i giorni oscuri dell'intolleranza, quando proprio in quell'aula invasa spontaneamente da trecento cittadini furibondi per l'arrivo di un numero imprecisato di rom, parole razzistiche contro i nomadi sono state pronunciate eccome. Ingiurie, minacce scivolate via senza essere interrotte. Parole mai zittite.
IN AULA Ieri è stato proprio il sindaco a tornare sull'assemblea dell'altra mattina. Sul volantino maldestro e bugiardo, («Razzista senza se e senza ma», l'ha etichettato il responsabile dell'Associazione sarda contro l'emarginazione, Antonello Pabis) che qualcuno ha scritto incitando alla rivolta al grido di “Sveglia!!!” i sansperatini poco accorti di fronte all'invasione «di oltre 400 rom». Peccato che quella folla era fatta di venticinque, ventisette persone. Due famiglie. Molti minorenni, la maggior parte bambini. «La responsabilità di quanto avvenuto, delle tensioni di questi giorni è di quel volantino millantatore e stiamo valutando, anche come amministrazione, i passi da fare», ha assicurato il sindaco all'Assemblea, ribadendo che la vicenda rom è nata male «per via della mancata informazione da parte del Comune di Cagliari, per la mancata comunicazione del progetto di trasferimento dei rom dal campo sulla 554».
LA MINORANZA È stato il consigliere di minoranza Tomaso Sciola a rimarcare «la spropositata reazione dei cittadini». Ha poi aggiunto: «Sono preoccupato per l'immagine del nostro paese che per quarant'anni ha dimostrato l'esatto contrario di quanto avvenuto in questi giorni, la sua vocazione all'ospitabilità e all'integrazione. È ora è uscita fuori la parte peggiore». Esplicita condanna sulla gestione di questa vicenda da parte dell'Amministrazione comunale è stata espressa da Stefania Spiga, consigliere Pd. «Si parla di un problema e non ci date ancora adesso i dati reali. Ma sono poi davvero un problema due famiglie e i loro bambini? Quel volantino era razzista, quell'informazione doveva essere immediatamente smentita e condannata».
L'ex sindaco Tonio Paulis ha condannato gli eccessi della protesta, detto no all'intolleranza ma ha anche preso le difese dei cittadini, anche di chi ha protestato duramente per l'arrivo dei rom. «Se non ci sono le condizioni diventa difficile ospitare adeguatamente chiunque. E poco importa se siano nomadi, nordafricani o tedeschi. È difficile spiegare a chi ti chiede di poter abitare in campagna, nel suo terreno agricolo, e gli dici di no, che per i rom è diverso. Oppure convincere qualcuno dei tuoi concittadini che ti chiede una casa popolare e gli dici che deve entrare in una graduatoria».
LA PROTESTA Duro, tenace l'intervento di Katia Pilloni (consigliere di maggioranza). «Non userò eufemismi, noi abbiamo un problema. Non sono un problema i rom, lo è, lo è stato il modus operandi del Comune di Cagliari, della prefettura, in parte della Caritas. Nei confronti dei nomadi, profondissimo rispetto».
Intanto oggi, a mezzogiorno in prefettura, si sarà l'incontro tra i sindaci dei paesi dell'hinterland coinvolti nel progetto di ospitalità. San Sperate e Monastir in testa, ma anche Cagliari.
LE INGIURIE Intanto San Sperate, ancora ieri, ha tentato di riconquistare «l'immagine perduta» urlando, seppur a bassa voce, contro le voci della xenofobia che troppi hanno ascoltato. Invenzioni, amplificazioni della stampa. Delle tv. Così, ieri in aula, è stato più volte ribadito. Peccato che anche l'altra notte, in via Pio La Torre, davanti alla casa dei rom, prima da un motorino, poi da un'auto in corsa, il razzismo si è fatto sentire eccome. Non di una comunità certo. Di scellerati sì. Che San Sperate, la gran parte di San Sperate vuole ora condannare. E pretende che lo faccia, ufficialmente, chi il paese lo amministra.

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