Il segretario Thomas Castangia mi ha chiesto un contributo contro la violenza sulle donne.
Lo trovate anche qui sotto le ************** (la prima parte non è scritta da me).
Oggi si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dalle Nazioni Unite con la risoluzione n. 54/134 del 1999. Una data scelta dal movimento internazionale delle donne, fin dai primi anni ’80, per ricordare le ormai tristemente famose sorelle Mirabal, attiviste della Repubblica Dominicana assassinate il 25 novembre del 1961 perché si opponevano al regime dittatoriale del loro paese. La loro forza, il loro coraggio, sono stati scelti come simbolo della grave violazione dei diritti umani rappresentata dalla violenza sulle donne.
Storicamente, il 25 novembre è stato fondamentale per attirare l’attenzione globale sul problema mondiale della violenza contro le donne. Tuttavia, di fronte agli attacchi, alla brutalità dei gesti, all’aggressività delle parole che milioni di donne subiscono ogni giorno, l’imperativo è non restare indifferenti, non banalizzare mai la nostra attenzione e ghettizzare questi problemi ad una singola giornata.
Sarebbe troppo riduttivo e semplicistico pensare che sia solo una questione di donne. Tutt’altro. Parlare di violenza contro le donne significa rapportarsi a problemi riferibili all’intera società: di salute pubblica, di insicurezza sociale, di costi elevati, sia in termini personali quanto appunto collettivi.
E su questo mi trovo assolutamente d’accordo con l’articolo su L’Unità di Roberta Agostini e Federica Mariotti “A poco serve militarizzare il territorio se non costruiamo il giusto sistema di relazioni, attraverso una operazione di prevenzione a partire dalle scuole e nelle famiglie, attivando l’intera comunità, dando risposte sul piano sociale. Dagli anni ’80, da quando le associazioni diedero vita ai primi centri antiviolenza, sono stati gli enti locali ad essere in prima linea.”. Peraltro, anche il contrasto alla violenza è stato svuotato di importanti risorse: ricordo che dopo avere varato la legge sullo stalking, il Governo Berlusconi ha tagliato i fondi che finanziano le politiche sociali e per la sicurezza delle donne, compresi quelli destinati ai centri antiviolenza; ha falciato le risorse al Fondo contro la violenza sulle donne e ha stanziato a favore del Fondo per le pari opportunità solo due milioni di euro.
Per contrastare fenomeni come lo stalking, il mobbing, la violenza sessuale e domestica bisogna incidere con politiche costanti e durature che cambino i presupposti che giustificano tali comportamenti. Servono azioni positive e politiche di pari opportunità, non solo tese al contrasto, ma che si contestualizzino in diversi settori: nel mondo della sanità, della scuola e del lavoro soprattutto, dove l'attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda la retribuzione, l'accesso al lavoro, la formazione professionale, le tutele, devono essere imperativi.
E a proposito di scuola, è proprio nelle fasce d’età più basse, nei giovani uomini e nelle giovani donne che bisogna intervenire. È indubbia la possibilità di incidere meglio sulle modalità di relazione tra i sessi e, quindi, mettere in campo una prevenzione capillare, più seria e adeguata. Nella scuola ragazzi e ragazze compiono insieme un percorso fondamentale di crescita culturale ed umana ed è proprio qui che bisogna attivare politiche di educazione sessuale, percorsi formativi volti a rimuovere quegli stereotipi comportamentali che determinano la costruzione dei ruoli maschili e femminili, in famiglia, come a scuola appunto; e ancora, serve attività di formazione e prevenzione rivolta non solo agli studenti, ma anche agli stessi docenti, finalizzata a contrastare l’aggressività e la violenza.
Non posso far altro che sottolineare quanto egregiamente sostenuto da Amnesty International “Le donne sopportano il peso maggiore della povertà, della violenza e delle violazioni dei diritti umani. A causa della discriminazione cui vanno incontro in ogni parte del mondo, ne vengono colpite più degli uomini. Oltre il 70 per cento delle persone che vivono in povertà sono donne. Percepiscono solo il 10 per cento del reddito globale ma rappresentano due terzi della forza lavoro del mondo. Producono fino all'80 per cento del cibo ma posseggono solo l'un per cento della terra. Costituiscono i tre quarti della popolazione mondiale analfabeta.
Ma nonostante queste schiaccianti avversità, le donne sono spesso le più attive protagoniste del cambiamento sociale all'interno delle proprie comunità e s'impegnano senza sosta per migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei loro familiari. Le donne sono alla guida dei più popolari e incisivi movimenti per i diritti umani del mondo.”.
Difficile sostenere che abbiamo quanto mai bisogno di un cambio netto di direzione nelle scelte politiche che metteremo in campo. Difficile dire che è solo un problema di donne.
Stefania Spiga
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