SAN SPERATE. Corsa per salvare la fornace in una zona dilaniata dalla crisi industriale
Fabbrica occupata, l'appello dei sindaci e dei lavoratori
Chiesto l'intervento della Sfirs. I lavoratori chiedono alla società gli ultimi tre bilanci.
SAN SPERATE Il prodotto va a ruba, i mattoni della Inpredil sono di alta qualità, nessuna giacenza in magazzino. Eppure venti giorni fa i 60 lavoratori della fornace di San Sperate sulla Statale 131, hanno ricevuto una lettera di licenziamento. Tutti a casa, la baracca chiude.
OCCUPAZIONE La scelta dei titolari, la famiglia Trois di Cagliari, è impossibile da accettare per chi ha figli da mantenere, mutuo da onorare e scarsissime possibilità di trovare un altro lavoro. Da qui la decisione di occupare la fabbrica, arrivata grazie al sostegno dei sindacati, dei sindaci dei paesi della zona e dalla convinzione che una gestione diversa dell'azienda potrebbe riportare il bilancio in attivo e garantire un futuro.
LA CRISI La situazione è oggettivamente complicata. La spiega Marco Fuccello, direttore generale della Inpredil: «Abbiamo un passivo di circa 5,7 milioni di euro. Colpa dei costi dell'energia necessaria per far funzionare gli impianti, dell'arrivo in ritardo delle autorizzazioni per riconvertire gli impianti dall'alimentazione a gasolio a quella più economica a base di pet di carbone e soprattutto di un vecchio debito contratto con la Cassa per il mezzogiorno dalla nostra società negli anni '70».
IL FALLIMENTO In particolare il credito è stato venduto da banca a banca sino a quando non è arrivato all'istituto Italfondiario, che adesso pretende 4 milioni di euro tra more e interessi. Debito che l'Inpredil non riconosce e che è pronta a contestare davanti a un giudice. Le mosse delle due parti sono state conseguenti: l'Italfondario ha presentato istanza di fallimento della Inpredil, la famiglia Trois resiste opponendosi ai decreti di pignoramento e cercando di dimostrare che il credito ceduto dalle banche non è di quella portata, considerando anche rate già pagate che non risultano alla Italfondario. In mezzo a tutto questo i 60 dipendenti.
LA MOBILITAZIONE Ieri, durante un'assemblea nella fabbrica occupata, è arrivata la solidarietà dei sindaci della zona, di alcuni consiglieri regionali e parlamentari del Pd e la presa di posizione dei sindacati. «Un'azienda che ha un mercato ed è in grado di fare utili non deve morire», hanno dichiarato i sindaci Aldo Pili (Sestu), Luciano Cappai (Nuraminis), Emidio Contini (Ussana), Alberto Pilloni (Samatzai), Walter Marongiu (Villasor), Ignazio Puddu (Monastir) e Antonio Paulis (San Sperate). «Ma occorre capire - hanno dichiarato gli amministratori - se esiste davvero la volontà dei titolari di mandare avanti l'azienda».
IL DESERTO Un fatto è certo: la crisi della Inpredil si aggiunge alle difficoltà di tantissime altre aziende del Cagliaritano. Ieri è stata l'occasione per fare il punto della situazione. Drammatica. «La zona sta diventando un cimitero - ha detto Ignazio Fanni, sindaco di Monastir - un anno fa ha chiuso anche la Sfp». Walter Marongiu (Villasor) ha ricordato la situazione di stallo dei 70 ex dipendenti dello zuccherificio, in attesa che parta la nuova centrale alimentata da bioculture ma ancora ferma. «Senza dimenticare i tagli delle ore al personale delle ditte esterne che lavorano nella base militare di Decimomannu».
Il sindaco di Nuraminis, Cappai, ancora sta piangendo «la chiusura della Profer System». Emidio Contini ha ricordato la fine della Cisla. Giorgio Pavanetto (Fiom Cgil) ha evidenziato il problema delle gare al massimo ribasso promosse da Saras e Polimeri: «Hanno perso il lavoro le storiche aziende di Sarroch e vinto l'appalto con meno 38 per cento di ribasso aziende tedesche e napoletane».
«Circa 22 mila persone hanno perso il posto di lavoro in Sardegna, il 45 per cento nell'area di Cagliari, denuncia Nicola Marongiu (Camera del lavoro): «Sono le cifre di un dramma».
«Adesso gli eredi Trois non devono smobilitare» I dubbi sulla possibilità di salvare l'Impredil sono tanti. Se è vero che sono necessari gli aiuti per abbassare i costi di energia o per superare lo stato di crisi magari attraverso gli ammortizzatori sociali, è altrettanto vero che è mancata la volontà di investire nella fabbrica da parte dei titolari. «La metà degli essiccatori - denunciano i 60 dipendenti - non funziona, la terra per fare i mattoni viene messa nel forno senza il necessario periodo di coltura così i mattoni spesso si rompono e dobbiamo buttare una parte rilevante della produzione. Basterebbe poco per risistemare gli impianti e tornare a essere produttivi e competitivi, ma in questi anni i titolari hanno abbandonato l'azienda».
Altro aspetto che deve far riflettere: la famiglia Trois si è dimostrata interessata alla nascita di una lottizzazione nella zona industriale di San Sperate: «Serve in un'ottica di rilancio l'Impredil - si chiede il sindaco di San Sperate, Paulis - oppure è l'indirizzo futuro della famiglia Trois?». Giampaolo Diana (Pd) ha sollecitato un intervento della Regione attraverso una prestito partecipato della Sfirs. Il sindaco di Sestu, Aldo Pili, ha chiesto chiarezza: «Ci portino gli ultimi tre bilanci per dimostrare l'oculatezza della gestione». Se ne parlerà il 10 dicembre, nell'assessorato all'Industria. (p.c.)
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